Dopo la seconda guerra mondiale, il mondo è diventato un’ammucchiata di nazioni sul piede di guerra, pronte a dichiararla a qualsiasi momento, per qualsiasi ragione. Dopo la guerra fredda, anche se avevamo l’impressione di aver finalmente raggiunto la pace, la storia umana è entrata in un’epoca bellicosa come non l’avevamo mai vista. Nella seconda metà del ventesimo secolo, abbiamo visto più guerre che nei tre secoli precedenti. E tutto indica che i conflitti non cesseranno presto. L’odio razziale e religioso, finanziato da interessi politici ed economici, sostiene il fuoco dei conflitti locali, della guerra civile, ma anche delle grandi guerre regionali.
In questo esatto momento, ci sono circa 1750 conflitti in corso nel mondo che hanno già fatto vittime, che molte volte non hanno assolutamente niente a che fare né con gli interessi né con le ragioni implicati. Almeno mille di queste piccole guerre risalgono a conflitti di più di mille anni, inimicizie storiche, decrepite, con le quali gli uomini non hanno imparato niente, a dispetto del tempo sufficiente che hanno avuto per farlo. Ma, a mio avviso, la statistica più preoccupante di tutte è che almeno 350 di questi conflitti sono in corso a causa della mancanza di accesso all’acqua. Quello che noi in Europa e nelle parti più civilizzate di America diamo per scontato, è già una questione di vita o di morte nella maggior parte del mondo, per la maggior parte della popolazione.
Tutto questo mi fa perdere la speranza nel futuro dell’umanità, e per una ragione molto semplice: nel futuro, forse non tanto distante, questioni e problemi molto più grandi di conflitti regionali e minacce nucleari dovranno essere risolti in accordo con tutte i paesi del mondo, problemi al di sopra delle capacità di ogni paese, ma che potrebbero essere risolti con una comunione di poteri delle nazioni. La prima immagine che ci viene in mente è quella delle grandi catastrofi naturali causate dal cambiamento climatico. Ma il pianeta affronterà anche altri nemici più potenti.
Nel 2004, gli scienziati hanno scoperto un asteroide grande come tre campi di calcio. Nel 2026, questo asteroide, chiamato Apophis, il dio egizio della distruzione, passerà vicino alla Terra, più vicino ad alcuni satelliti di trasmissione. Il calcolo iniziale era che, dipendendo dalla traiettoria del asteroide, sarebbe possibile che il campo gravitazionale della Terra lo attrarrebbe e, sette anni più tardi, ritornerebbe e cadrebbe sull’oceano pacifico, mille chilometri lontano dalla costa di California. L’impatto causerebbe una serie di tsunami 50 volte più potenti di quelli che hanno colpito l’Indonesia nel 2004. Questi tsunami distruggerebbero un quarto del territorio degli Stati Uniti, causando 30 mila miliardi di dollari in perdite.
Oggi, con i calcoli rifatti, già sappiamo che l’asteroide no va a colpire la Terra nel 2033, ma il pericolo non è esattamente questo. ‘E fatto che la Terra sarà colpita, presto o tardi, da un corpo celeste come questo asteroide. Il problema non è la tecnologia che già abbiamo per proteggerci di una minaccia come questa. Il problema maggiore è: chi sarebbe responsabile di proteggerci? Se un asteroide colpisse la Terra, no vicino alla costa degli Stati Uniti, ma in Asia o in Africa, chi sarebbe l’eroe dell’umanità? Mi chiedo se avremmo il senso di unità di risolvere un problema così importante, mettendo da parte le differenze politiche, economiche e religiose. L’unica risposta a cui posso arrivare è che le differenze tra gli uomini sarebbero più grandi della volontà di sopravvivere insieme in questa minuscola parte dell’universo.
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